2017 9.19.2017/9.23.2017
Le possibilità di un volo ( chances of a flight )
curated by Emanuele Meschini
for ARP - Art Residency Project and Corto Lovere
site specific _ le possibilità di un volo _ (5 x) 120 x 70 cm _ acrilyc on canvas
Santa Chiara Church _ Lovere - Italy
Le possibilità di un volo ( chances of a flight )
curated by Emanuele Meschini
for ARP - Art Residency Project and Corto Lovere
site specific _ le possibilità di un volo _ (5 x) 120 x 70 cm _ acrilyc on canvas
Santa Chiara Church _ Lovere - Italy
Da un testo critico ci si aspetta sempre una spiegazione, un aiuto alla comprensione.
Questo testo non è così.
Vi giuro, ci ho provato.
Ho provato a tracciare una linea citazionistica di nomi e nozioni che comprendessero la grande narrazioni storica artistica così da mettere tutti al sicuro sotto l’ala della referenza di turno.
Non ce l’ho fatta.
A volte le cose non vanno come devono andare e ti trovi a scrivere quello che senti che, in realtà, non è quello che vedi.
Il testo che segue, pertanto, descrive ciò che non avete di fronte o che probabilmente vedrete solo in maniera parziale.
Se cercate, invece, una spiegazione razionale e logica saltate questa prima parte e andate alla pagina successiva.
———————————--
Non di tutto, e non per tutti, il senso delle cose sta in una certa tensione verso l’alto. Mistica, gravitazionale necessaria, comunque, sempre inevitabile. Si tratta di una devozione lucida, una speranza (mal) riposta, pur sempre un desiderio recondito di accettazione.
Non per tutti ma di sicuro per Valentina Colella. L’artista entra con la sua opera, Le possibilità di un volo, nella chiesa di Santa Chiara con una devozione da sagrestano disincantato, da Fernandel di Guareschi, che con fare diretto e devoto cerca di nascondere al Cristo parlante i proprio segreti.
L’opera, composta da cinque tele tutte diverse ma percepibili come un continuità (d)alla distanza, vuole ribadire che, anche nella devozione, nella credenza del timor, c’è una livella che pareggia i conti.
La disposizione radiale dell’illuminazione delle tele suggerisce una bipartizione da Deposizione di Raffaello dove il celeste aureo si spinge etereo verso l’alto mentre la ‘gente’, in basso, rimane ancorata al peso della quotidiana fatica sbracciandosi per capire, comprendere, e tutta un’altra serie di cose inutili agli occhi di chi si è già elevato in volo.
Del resto il volo è il tema che Colella declina sia matericamente nella dissolvenza dei suoi soggetti, sia nel concetto più profondo portando, così, alla luce una ricerca più dura di quanto il color magenta possa dire.
La dissolvenza d'altronde è ancella secolare della dissimulazione e l’artista gioca su questa continua sparizione, obbligata, per ritrovarsi.
Dove, non è necessario chiederlo.
Colella lavora sulla sagoma, potremmo dire, sull’involucro di qualcosa che essendo nato per il volo non ha bisogno di essere immortalarlo nella fissità perfetta della sua fisionomia. Si tratta di esserci oggi per non esserci domani, vivere con il peso di sapere che il ritorno non è così scontato e, dunque, decidere di dissolversi già in vita è l’operazione più controllata che ogni essere umano possa fare per esorcizzarsi.
Guardando l’opera, infatti, si ha come l’impressione di essere in partenza. Attendiamo che il nostro nome venga chiamato, di certo non urlato, ma leggermente sussurrato. Un nome che nessuno percepisce ma che noi conosciamo a memoria perché è sempre stato quello.
Ed ecco allora che tutto assume un climax e un’altitudine che nessuna foglia di coca masticata può eliminare. Stiamo male ed è necessario. Perché all’interno della chiesa di Santa Chiara le opere entrano in un dialogo rispettoso con ciò che non conosciamo e che preghiamo solo di fronte alle difficoltà.
Altitudine non prevista, il volo fa giare la testa ma solo per un attimo perché i piedi sono stati inchiodati.
Capita poche volte di trovarsi all’interno della poetica di un’artista capace incorpora così tanto la sua opera al punto da farmi/farci sentire intrusi. Così, come le opere di Colella chiedono permesso alla sfera del sacro noi chiediamo timidamente permesso, con un fil di voce e il cappello in mano, alle sue tele.
———————————--
Questa altra parte di testo descrive esattamente ciò che avete di fronte
L’opera di Colella si gioca su due fronti in continua dialettica da loro. La presenza ripetitiva e l’evanescenza della forma. I soggetti che l’artista abruzzese raffigura sono, infatti, sagome di uccelli, simulacri di figura, ripetuti allo strenuo fino all’ultimo atto della dissolvenza.
Esserci per sparire, è il tema che le tele di Colella pone all’attenzione dello spettatore, che nel caso di questa installazione, Le possibilità di un volo, si trova diviso tra la terra e il cielo seguendo un movimento ascensionistico.
La modalità con la quale l’artista lavora si basa su una ripetizione sui generis, in quanto, più che portare alla riproduzione del soggetto porta alla sua scomparsa.
La disposizione delle cinque tele illuminate in maniera radiale, suggerisce da prima e a distanza, un concetto di similitudine e uguaglianza, e solo in un secondo momento di prossimità, un senso di particolarità e impercettibilità.
Il soggetto scelto dall’artista raffigura il/un volo attraverso la stilizzazione del suo mezzo prediletto, ovvero, l’icona di un volatile. Possiamo seguire il suo staccarsi da terra attraverso una composizione orizzontale che partendo dal basso si libera verso l’alto.
Il colore viene inteso come mezzo espressivo capace di catturare lo spettatore in una narrazione senza parole. Il magenta, scelto in questo caso, fa seguito ad una serie di variazioni cromatiche compiute dall’artista nelle opere precedenti che hanno visto il volo perdersi nelle sfumature dell’azzurro.
Questo passaggio dalla sfera terrestre a quella celeste ben si sposa con il luogo circostante e viene realizzato attraverso un atteggiamento di massimo rispetto. L’allestimento pensato da Colella, del resto, tende a giocare con lo spazio creando una serie di vuoti e pieni tra le strutture architettoniche della chiesa e quelle temporanee delle sue tele.
Il lavoro di Colella, dunque, ci porta a riflettere sulla permaneza e sulla transizione della nostra concione umana. Così fortemente ancora a terra ed allo stesso tempo in continua ricerca di una liberazione dal peso fisico del nostro obbligo gravitazionale.
Questo testo non è così.
Vi giuro, ci ho provato.
Ho provato a tracciare una linea citazionistica di nomi e nozioni che comprendessero la grande narrazioni storica artistica così da mettere tutti al sicuro sotto l’ala della referenza di turno.
Non ce l’ho fatta.
A volte le cose non vanno come devono andare e ti trovi a scrivere quello che senti che, in realtà, non è quello che vedi.
Il testo che segue, pertanto, descrive ciò che non avete di fronte o che probabilmente vedrete solo in maniera parziale.
Se cercate, invece, una spiegazione razionale e logica saltate questa prima parte e andate alla pagina successiva.
———————————--
Non di tutto, e non per tutti, il senso delle cose sta in una certa tensione verso l’alto. Mistica, gravitazionale necessaria, comunque, sempre inevitabile. Si tratta di una devozione lucida, una speranza (mal) riposta, pur sempre un desiderio recondito di accettazione.
Non per tutti ma di sicuro per Valentina Colella. L’artista entra con la sua opera, Le possibilità di un volo, nella chiesa di Santa Chiara con una devozione da sagrestano disincantato, da Fernandel di Guareschi, che con fare diretto e devoto cerca di nascondere al Cristo parlante i proprio segreti.
L’opera, composta da cinque tele tutte diverse ma percepibili come un continuità (d)alla distanza, vuole ribadire che, anche nella devozione, nella credenza del timor, c’è una livella che pareggia i conti.
La disposizione radiale dell’illuminazione delle tele suggerisce una bipartizione da Deposizione di Raffaello dove il celeste aureo si spinge etereo verso l’alto mentre la ‘gente’, in basso, rimane ancorata al peso della quotidiana fatica sbracciandosi per capire, comprendere, e tutta un’altra serie di cose inutili agli occhi di chi si è già elevato in volo.
Del resto il volo è il tema che Colella declina sia matericamente nella dissolvenza dei suoi soggetti, sia nel concetto più profondo portando, così, alla luce una ricerca più dura di quanto il color magenta possa dire.
La dissolvenza d'altronde è ancella secolare della dissimulazione e l’artista gioca su questa continua sparizione, obbligata, per ritrovarsi.
Dove, non è necessario chiederlo.
Colella lavora sulla sagoma, potremmo dire, sull’involucro di qualcosa che essendo nato per il volo non ha bisogno di essere immortalarlo nella fissità perfetta della sua fisionomia. Si tratta di esserci oggi per non esserci domani, vivere con il peso di sapere che il ritorno non è così scontato e, dunque, decidere di dissolversi già in vita è l’operazione più controllata che ogni essere umano possa fare per esorcizzarsi.
Guardando l’opera, infatti, si ha come l’impressione di essere in partenza. Attendiamo che il nostro nome venga chiamato, di certo non urlato, ma leggermente sussurrato. Un nome che nessuno percepisce ma che noi conosciamo a memoria perché è sempre stato quello.
Ed ecco allora che tutto assume un climax e un’altitudine che nessuna foglia di coca masticata può eliminare. Stiamo male ed è necessario. Perché all’interno della chiesa di Santa Chiara le opere entrano in un dialogo rispettoso con ciò che non conosciamo e che preghiamo solo di fronte alle difficoltà.
Altitudine non prevista, il volo fa giare la testa ma solo per un attimo perché i piedi sono stati inchiodati.
Capita poche volte di trovarsi all’interno della poetica di un’artista capace incorpora così tanto la sua opera al punto da farmi/farci sentire intrusi. Così, come le opere di Colella chiedono permesso alla sfera del sacro noi chiediamo timidamente permesso, con un fil di voce e il cappello in mano, alle sue tele.
———————————--
Questa altra parte di testo descrive esattamente ciò che avete di fronte
L’opera di Colella si gioca su due fronti in continua dialettica da loro. La presenza ripetitiva e l’evanescenza della forma. I soggetti che l’artista abruzzese raffigura sono, infatti, sagome di uccelli, simulacri di figura, ripetuti allo strenuo fino all’ultimo atto della dissolvenza.
Esserci per sparire, è il tema che le tele di Colella pone all’attenzione dello spettatore, che nel caso di questa installazione, Le possibilità di un volo, si trova diviso tra la terra e il cielo seguendo un movimento ascensionistico.
La modalità con la quale l’artista lavora si basa su una ripetizione sui generis, in quanto, più che portare alla riproduzione del soggetto porta alla sua scomparsa.
La disposizione delle cinque tele illuminate in maniera radiale, suggerisce da prima e a distanza, un concetto di similitudine e uguaglianza, e solo in un secondo momento di prossimità, un senso di particolarità e impercettibilità.
Il soggetto scelto dall’artista raffigura il/un volo attraverso la stilizzazione del suo mezzo prediletto, ovvero, l’icona di un volatile. Possiamo seguire il suo staccarsi da terra attraverso una composizione orizzontale che partendo dal basso si libera verso l’alto.
Il colore viene inteso come mezzo espressivo capace di catturare lo spettatore in una narrazione senza parole. Il magenta, scelto in questo caso, fa seguito ad una serie di variazioni cromatiche compiute dall’artista nelle opere precedenti che hanno visto il volo perdersi nelle sfumature dell’azzurro.
Questo passaggio dalla sfera terrestre a quella celeste ben si sposa con il luogo circostante e viene realizzato attraverso un atteggiamento di massimo rispetto. L’allestimento pensato da Colella, del resto, tende a giocare con lo spazio creando una serie di vuoti e pieni tra le strutture architettoniche della chiesa e quelle temporanee delle sue tele.
Il lavoro di Colella, dunque, ci porta a riflettere sulla permaneza e sulla transizione della nostra concione umana. Così fortemente ancora a terra ed allo stesso tempo in continua ricerca di una liberazione dal peso fisico del nostro obbligo gravitazionale.